Lewis Wickes Hine

From Children at Work, 1908-1912

Lewis Hine: “Unfavorable Positions”

The Photographer – 1948

Edward Weston nel Il film documentario del 1948, diretto da Willard Van Dyke.

Corsi di Fotografia Base del Lumina Festival

Con martedì 25 settembre avranno inizio i Corsi di Fotografia organizzati dal Lumina Festival, e di cui sono docente.
Come di consuetudine sono previsti due corsi distinti, base di primo livello (per principianti) e secondo livello (corso più avanzato).

Il Corso di Primo Livello avrà inizio il 25 settembre pv. Le lezioni avranno cadenza settimanale (quindici incontri serali), ogni martedi sera (orario 21:30 – 23:30).
Nel programma sono previste tre uscite per la pratica fotografica che si svolgeranno la domenica mattina, per un totale di diciotto lezioni.

Il Corso di Secondo Livello inizierà il 3 ottobre pv, anche in questo caso le lezioni saranno a cadenza settimanale, ogni mercoledì con il medesimo orario.
Le lezioni si concentreranno sulla realizzazione di un portfolio fotografico di tipo tematico. La parte tecnica si focalizzerà sugli argomenti legati alla gestione delle immagini digitali attraverso l’uso del fotoritocco.

I programmi dettagliati sono pubblicati alla pagina “Corsi Base” di questo blog oppure apribili dai seguenti link.
Programma Corso di 1° livello
Programma Corso di 2° livello

Nei prossimi giorni sarà possibile iscriversi attraverso il sito del Lumina Festival.
Costo e sede delle lezioni verranno comunicate a breve.

La Permanenza delle Stampe Fotografiche in Bianco e Nero

Nel saggio critico “La camera chiara. Nota sulla fotografia” il suo autore Roland Barthes, ci parla della fotografia “come testimonianza sicura, ma comunque effimera”; dello stupore dello “E’ stato” ma che scomparirà anch’esso; ci descrive l’immagine fotografica come destinata ad ingiallire, scolorire ed a cancellarsi. (pag.94).
Benché le argomentazioni di Barthes vadano ben oltre nel loro contenuto al semplice disquisire sulla durata delle immagini fotografiche, ci inducono comunque a riflettere se veramente l’opera fotografica, in particolare quella di valore storico ed artistico, sia destinata ad un inesorabile rapido deterioramento.
Per quanto mi riguarda, credo sia stato proprio l’aspetto di sfida che la fotografia muove nei confronti del tempo e del naturale decadimento delle cose ad avermi spinto, un giorno, a praticarla e oggi che ad essa attribuisco una molteplice quantità di altri valori e significati, mi accorgo comunque che ogni argomento legato alla conservazione ed alla durata delle immagini fotografiche stimola ancora molto il mio interesse.

In questa serie di articoli mi concentrerò prevalentemente sulle procedure di camera oscura e sui criteri di trattamento finali, idonei ad ottenere un ottimo grado di permanenza delle stampe fotografiche.
In molte pubblicazioni tecniche spesso si parla di “trattamento d’archivio”. Questa terminologia in realtà non è sempre del tutto appropriata, in quanto portare a termine l’intera procedura prevederebbe di conservare le fotografie sotto effettivi standard d’archiviazione (temperatura ed umidità controllate, assenza di luce). Nella pratica comune, essendo la fotografia un medium visivo, forse a noi interessano maggiormente le situazioni più generiche di conservazione, come ad esempio il grado di robustezza al tempo e alla luce di una stampa esposta ad una parete.

Come si presentano i primi segni di deterioramento:
I sintomi di deterioramento più comuni possono manifestarsi sotto forma di cambiamenti di colore nel tono dell’immagine, che dal loro originario “nero neutro” mutano verso tonalità brunastre, gialle, talvolta verdi. Nei casi più precoci questo effetto è spesso accompagnato dal formarsi di linee di separazione fra aree chiare e scure della stampa o macchie più o meno estese, luccicanti, dall’aspetto bronzeo o argentato, queste ultime in corrispondenza in genere degli annerimenti maggiori o dei bordi esterni della fotografia.
Ciò che deve maggiormente farci riflettere è che sempre più frequentemente (e ciò accade soprattutto negli ultimi 25-30 anni), alcuni problemi specifici come quelli appena citati si presentano ugualmente a prescindere dalle attenzioni prestate da coloro che hanno operato in camera oscura. Tali problemi sono infatti il risultato dell’influenza di alcuni fattori ambientali legati all’inquinamento atmosferico e alla presenza specifica di alcuni gas ossidanti nell’aria, che se pur presenti in quantità minime, possono innescare un devastante processo di ossidazione della specifica immagine argentica. Le prime testimonianze di immagini fotografiche degradate da tale fenomeno risalgono alla metà degli anni ‘60 e hanno interessato alcuni archivi di microfilms. Nei primi anni ‘70 furono i ricercatori della Ilford ad intraprendere un programma di ricerca con lo scopo di spiegare il fenomeno.
Oggi, anche grazie ad una maggiore diffusione di letteratura specifica sull’argomento, risulta più facile documentarsi su quelli che sono gli accorgimenti più consoni per fissare il grado di permanenza di una stampa ed assicurarne una protezione tramite alcuni interventi specifici di viraggio.

Quali sono i fattori che lo causano:
I fattori che possono causare il deterioramento sono da distinguersi in interni ed esterni.

1. Fattori interni
Il tipo di deterioramento più comune è quello derivato dalla presenza di sostanze dannose all’interno della carta fotografica, per lo più costituite dai residui chimici del trattamento fotografico, in particolare del fissaggio. In passato altre cause sono state associate alla natura stessa dei componenti di fabbricazione. Ad esempio l’uso di titanio bianco (biossido di Titanio, TiO2) impiegato come base all’immagine argentica delle carte RC ha causato per anni seri problemi di deterioramento degli strati di polietilene e dell’immagine fotografica stessa. I principali fabbricanti di carte fotografiche assicurano oggi che grazie all’introduzione di speciali stabilizzatori il problema è stato radicalmente eliminato.
Dunque, il fissaggio è senza dubbio il componente chimico che deve maggiormente preoccuparci. Esso ha la funzione di rimuovere gli alogenuri d’argento non esposti e non ridotti in argento metallico dal rivelatore. Il componente base con il quale agisce ogni formula di fissaggio è l’iposolfito (tiosolfato) di sodio o l’iposolfito (tiosolfato) di ammonio, quest’ultimo impiegato nei fissaggi rapidi.
Per un fissaggio corretto delle carte da stampa è necessario tenere presente che:

– una operazione di fissaggio incompleta, ovvero troppo breve, non elimina totalmente gli alogenuri d’argento che con il tempo tenderebbero ad assumere il tipico aspetto giallastro;

– un bagno di fissaggio troppo sfruttato contiene sali complessi di iposolfito d’argento, dissoltisi e accumulatisi progressivamente durante l’utilizzo. Tali sali hanno la tendenza ad ancorarsi saldamente all’emulsione, sono estremamente difficili da rimuovere e la loro presenza contribuirà seriamente al deterioramento futuro dell’immagine.
Ciò ci fa intuire la necessità di non sfruttare il bagno di fissaggio oltre una certa misura, mantenendoci su un limite inferiore rispetto alla effettiva capacità di trattamento.
Personalmente eseguo un calcolo della superficie trattata in modo da mantenermi sotto limite delle otto stampe formato 24×30 per litro di fissaggio;

– un fissaggio troppo prolungato non solo può dar luogo ad un leggero sbianchimento argentico sulle luci ma contribuisce a saturare la carta dei suoi componenti. Durante il trattamento gli ioni di iposolfito penetrano nelle fibre della carta (nel caso delle carte RC questo non si verifica), nell’emulsione, e nello strato insolubile di barite. L’iposolfito viene assorbito anche dall’immagine argentica. A questo punto è estremamente difficile rimuoverlo, se non impossibile. Se non operassimo con un lavaggio prolungato in circa due settimane l’iposolfito reagirebbe con l’argento dando luogo al già menzionato sbiadimento ed ingiallimento. Tale deterioramento può manifestarsi anche dopo molti anni, come anche in breve tempo, dipende dalla concentrazione di iposolfito residuo;

– è sconsigliabile usare un fissaggio induritore in quanto ritarderebbe notevolmente il lavaggio riducendone l’efficienza.

Il grado richiesto per la permanenza di una stampa è strettamente legato all’uso verso il quale essa è destinata. Il termine stampa da “archivio” è dunque molto relativo, ma se si parla di massima permanenza allora, sicuramente, il livello richiesto dovrebbe essere di almeno 100-200 anni. Un parametro di questo tipo necessita di procedure di lavaggio rigorose per ridurre l’iposolfito ai livelli minimi espressi in termini di microgrammi per centimetro quadrato (Microg./cm2) (un microgrammo è un milionesimo di grammo). Lo standard accettabile per alti livelli di permanenza non è ancora stato definito ma un limite compreso fra 1,5 e 2 microg./cm2 è più che adeguato per raggiungere ottimi requisiti.
Solo un lavaggio accurato dunque ridurrà a questi livelli l’iposolfito residuo e i sali complessi formatisi durante il fissaggio. Dovrà essere prestata attenzione alla durata, alla temperatura, alla quantità, al metodo di ricambio e circolazione dell’acqua.
Per quanto riguarda le carte RC questa operazione non comporta grosso sacrificio in quanto due minuti di lavaggio a 20°C costituiti da alcuni ricambi di acqua sono sufficienti. Molto più tempo necessitano invece le carte baritate con la loro tendenza ad incorporare e trattenere i componenti chimici indesiderati negli strati fibrosi.
Un lavaggio “classico”, preferibilmente preceduto da un trattamento in un aiuto lavaggio chimico ( ad es.Kodak Hypo Clearing Agent o Ilford Galerie Washaid) e costituito da frequenti ricambi d’acqua, dovrebbe protrarsi per almeno un’ora.

Nel 1981, le ricerche intraprese dalla Ilford a proposito della conservazione delle stampe fotografiche culminarono con la pubblicazione di una esclusiva procedura abbreviata di fissaggio-lavaggio per le carte baritate. Questa sequenza usa un tempo di lavaggio molto ridotto grazie all’impiego di un bagno di fissaggio concentrato all’iposolfito di ammonio la cui energia riduce il tempo di fissaggio a soli 30”. Questo accorgimento impedisce l’assorbimento da parte della carta degli agenti fissanti.

Ciò consiste brevemente in queste fasi da condursi ad una temperatura il più possibile vicina ai 20°C

Fissaggio (Ilford Rapid Fixer 1+3 o Hypam 1+4): da 30 a 60 secondi, ma non oltre.
Primo lavaggio (Minimo tre cambi completi di acqua): 5 min.
Bagno in eliminatore di iposolfito (Ilford Galerie Washaid): 10 min.
Lavaggio finale costituito da frequenti ricambi d’acqua (Ilford indica sufficienti 5 min.)

Personalmente adotto questa procedura con notevole risparmio di tempo e di acqua, rassicurato anche dal fatto che molte delle fonti più autorevoli confermano la effettiva validità di questo procedimento.

2. Fattori esterni
Escludendo da questa lista gli aspetti legati ad una cattiva conservazione fisica (umidità e calore eccessivi, polvere e sporcizia, montaggio inadeguato, esposizione prolungata a fonti di illuminazione molto intense) mi limiterò sommariamente ad elencare alcune delle sorgenti responsabili dell’emissione di gas ossidanti ritenuti potenzialmente dannosi:

– Le autovetture con gli ossidi d’azoto sviluppatisi dai gas di scarico
– I procedimenti di depurazione industriale.
– Alcuni tessuti sintetici, coloranti al perossido d’idrogeno per tessuti, soluzioni coloranti per capelli.
– Le sostanze ossidanti che possono sprigionarsi con il tempo da alcuni materiali costruttivi, da vernici e pitture, collanti, e dal legno stesso e dai suoi trattamenti.
– La lignina ed i composti chimici residui ossidanti presenti in carte di qualità scadente usate per le buste, le scatole ed i cartoncini per il montaggio o la protezione delle fotografie, nonché buste e contenitori in PVC.

Il quantitativo di sostanze stimate per innescare il processo di trasformazione dell’immagine argentica dapprima in sali solubili, e poi in argento metallico colloidale dal tipico aspetto brunastro è infinitesimo.
Sembra ormai chiaro che problemi di questo tipo diverranno sempre più comuni dal momento che l’atmosfera sta diventando sempre più inquinata.

Trattamenti protettivi e conclusioni
Esistono sostanzialmente due metodi protettivi all’attacco dei gas dannosi elencati. Il primo consiste nel convertire uniformemente l’argento dell’immagine in solfuro d’argento o in seleniuro d’argento. Una volta effettuato questo intervento nessun ulteriore deterioramento è possibile. Per questo scopo sarà sufficiente virare la stampa in un bagno di viraggio Seppia per Solfurazione od al Selenio (Kodak Rapid Selenium Toner).
Il secondo metodo consiste nel proteggere l’argento con uno strato superficiale costituito da un componente inorganico. Un viraggio protettivo all’Oro (Cloruro d’oro) agisce chimicamente sotto questo principio e assolverà perfettamente ai requisiti richiesti.
Ovviamente le ragioni estetiche legate al cambiamento di colore dell’immagine condizioneranno molto la scelta verso uno di questi metodi.

Nei prossimi articoli mi occuperò in dettaglio delle singole tecniche di viraggio valutandone sia l’aspetto di carattere espressivo che quello legato alla conservazione.

Testo e immagini © Marco Barsanti

Articolo pubblicato sul numero 33, dell’inverno 2003 di Gente di Fotografia. Rubrica “Laboratorio”

Albero e piccolo lago, Poggio Adorno, aprile 1995

Tecniche di viraggio “spezzato” sulla stampa

Ho iniziato a sperimentare i procedimenti di intonazione sulle carte fotografiche in bianco e nero molti anni fa, praticamente in concomitanza con le mie prime esperienze di camera oscura e provando tutto ciò che era possibile. Da questa sperimentazione scaturiva una infinita possibilità di combinare sostanze chimiche diverse con carte da stampa diverse.
Man mano che le mie prove proseguivano e dopo aver scartato i risultati cromatici che non ritenevo essere di contributo estetico alle mie fotografie, mi resi conto che le mie preferenze si indirizzavano verso le tonalità più calde e delicate.
Ricordo, ad un certo punto di essere rimasto molto affascinato dalla lettura di una pubblicazione americana della Kodak la quale sottolineava i potenziali benefici apportati dal viraggio al selenio sulle stampe fotografiche in bianco e nero. Non solo avevo scoperto che con tale viraggio era possibile ottenere una grande varietà di sottili toni marroni purpurei in rapporto alle carte impiegate, ma che tale procedimento era essenziale per la conservazione nel tempo della stampa stessa.

Lo spunto per la stesura di questo tutorial/articolo trae origine da una serie di nudi che ho realizzato in studio alcuni anni fa, e stampati con un particolare procedimento di viraggio multiplo ottenuto combinando a fasi successive tre differenti bagni di intonazione sulla stampa finale. Ciò che ne risulta è un’immagine a tono caldo sulla quale le alteluci brillano di luminosità e colore propri, differenziandosi dal resto dell’immagine (vedi fotogf n°4).
Per poter mettere in pratica questo procedimento, detto di viraggio “spezzato”, sono necessari, oltre a tutti i normali strumenti di camera oscura dei quali non starò in questa sede a fare elenco, i tre bagni di intonazione costituiti da: un viraggio al selenio, un toner al polisolfuro, un bagno di viraggio all’oro (Cloruro d’Oro). Sarà anche necessaria una soluzione chiarificatrice dell’iposolfito ( a base di Solfito di Sodio) e naturalmente la stampa da intonare, necessariamente realizzata su carta politenata o baritata al Clorobromuro, più semplicemente denominata carta a tono caldo.
Fortunatamente ogni singolo bagno necessario esiste come prodotto già preparato e disponibile in commercio.

LA STAMPA
Si parte da una stampa normalmente sviluppata, trattata possibilmente in un rivelatore che ne conservi le caratteristiche di tonalità calda (Tipo Agfa Neutol WA o simili).
Consiglio, per le prime sperimentazioni di indirizzarsi verso una qualsiasi varietà di carta di tipo politenato, questo per semplificare ogni operazione intermedia di lavaggio.
In fase di ingrandimento, come di consueto, si determina il grado di contrasto e l’esposizione adeguati per raggiungere il risultato visivo desiderato, poi si provvede a variare i due parametri abbassando la gradazione di contrasto di circa mezzo punto ed aumentando l’esposizione di un 10% c.a. In sintesi, l’aspetto finale dell’immagine deve risultare moderatamente più denso e morbido di quanto ritenuto corretto. (vedi fotogr. 1) Inutile sottolineare la necessità successiva di un adeguato fissaggio e lavaggio del foglio, accorgimenti tassativamente necessari ad introdurre ogni intervento di intonazione.

LA PREPARAZIONE DEI BAGNI DI VIRAGGIO

Toner al Selenio:
Si passa alla preparazione del primo bagno che sarà costituito da un viraggio al selenio molto diluito. Per praticità di preparazione si parte da una soluzione concentrata di Kodak Rapid Selenium Toner (RST) il quale dovrà essere diluito nella proporzione di 1+40 con acqua.
Questa semplice combinazione fra viraggio concentrato ed acqua agirà benissimo se impiegata su una carta tipo RC. Di contro dovremo rispettare certi ulteriori accorgimenti in abbinamento ad una carta baritata, ma su quest’ultimo punto torneremo più tardi.
Toner al Polisolfuro di Sodio:
Come secondo bagno, il prodotto Agfa Viradon (Brown Toner) che spero sia ancora commercializzato, costituirà il nostro viraggio al Polisolfuro. La diluizione del concentrato con acqua, come indicato sulla confezione, rispetterà il rapporto 1+50.
Toner all’Oro:
Anche l’ultimo bagno di viraggio è disponibile come prodotto già preparato da non diluire. La tedesca Tetenal ha in catalogo un ottimo “Goldtoner”, non esattamente economico ma semplice da usare e soprattutto riutilizzabile.

LA PROCEDURA CON LE CARTE TIPO RC
Si dispongono sul tavolo di lavoro le tre bacinelle contenenti i bagni di viraggio. Dovremo da ora in poi avere l’accortezza di lavorare in luce attenuata e, considerata la tossicità di alcuni componenti, di mantenere l’ambiente ben ventilato. Inutile ricordare che la stampa sarà pronta per il primo trattamento nel viraggio al selenio solo dopo essere stata fissata ed accuratamente lavata; tengo anche a precisare che i seguenti parametri di lavoro dovranno essere considerati solo come punto di partenza per la riuscita del procedimento.

1. Viraggio al Selenio (1+40): Tempo di trattamento circa 6/7 min. a 24°C con agitaz intermittente. (vedi fotogr. 2)
2. Risciacquo per alcuni min. in acqua corrente.
3. Viraggio al Polisolf. (1+50): Tempo di trattamento circa 2 min. a 20°C con agitaz. Intermittente. (vedi fotogr. 3)
4. Risciacquo per alcuni min. in acqua corrente fino alla scomparsa della colorazione gialla.
5. Viraggio all’oro: Tempo di trattamento a vista in temperatura ambiente fino al raggiungimento del risultato. (vedi fotogr. 4)
6. Lavaggio finale in acqua corrente ed essiccazione.

LA PROCEDURA CON LE CARTE BARITATE
La procedura da seguire con le carte baritate rimane la medesima, tuttavia saranno necessarie alcune modifiche nella preparazione del toner al selenio oltre ad una più accurata attenzione ad ogni operazione di risciacquo o lavaggio che dovranno essere condotte sempre molto a fondo.

Nella preparazione del bagno di viraggio al selenio l’acqua dovrà essere sostituita da una soluzione alcalina a base di solfito di sodio. Il prodotto in polvere Kodak Hypo Clearing Agent (HCA) farà al caso nostro. Attenendosi alle istruzioni sulla confezione del prodotto stesso otterremo una soluzione stock che dovrà essere diluita ulteriormente con acqua nella proporzione di 1+4 al momento del suo utilizzo. In quest’ultima soluzione di lavoro dovrà essere a sua volta diluito il RST nella proporzione di 1:20.

Per preparare 1050ml di toner: 200ml HCA Stock + 800ml Acqua + 50ml RST .

Dovremo modificare così la procedura:
1. Viraggio al selenio combinato con HCA (1+20): tempo di trattamento circa 7/8 min. a 24°C.
2. Successivo trattamento in HCA alla diluizione di lavoro 1+4 per 2 min. a 20°C.
3. Risciacquo accurato in acqua corrente.
4. Viraggio al Polisolf. (1+50): Tempo di trattamento circa 2 min. a 20°C con agitaz. Intermittente.
5. Risciacquo in acqua corrente fino alla totale scomparsa della colorazione gialla.
6. Successivo trattamento in un induritore all’allume tipo Tetenal Harter o simili per un paio di min.
7. Risciacquo accurato in acqua corrente.
8. Viraggio all’oro: Tempo di trattamento a vista in temperatura ambiente fino al raggiungimento del risultato.
9. Lavaggio finale in acqua corrente per almeno 30min e successiva essiccazione.

L’uso dell’induritore al punto 6. è necessario per ripristinare il rammollimento della gelatina indotto dal trattamento in polisolfuro.

CONCLUSIONI
Al termine di questo articolo è da considerarsi lecito un certo disorientamento, ma tengo a precisare che la complessità del procedimento è legata soprattutto alla messa in atto di una mia libera sperimentazione a scopo creativo.
In realtà ogni singolo intervento di viraggio possiede caratteristiche individuali la cui preziosità non è legata solo ad un particolare parametro estetico di intonazione dell’immagine, ma rappresenta anche un procedimento indispensabile per completare la cosiddetta procedura di archivio della stampa fotografica che come sappiamo inizia con l’operazione di fissaggio.

Testo e immagini © Marco Barsanti

Articolo pubblicato sul numero 32, dell’autunno 2002 di Gente di Fotografia. Rubrica “Laboratorio”