Angelo Taibi: blue prints e tè verde

LA CIANOTIPIA

Uno dei procedimenti fotografici alternativi, più semplici da sperimentare è il cianotipo. La parola deriva dal greco e sta a significare “stampa di un blu profondo”, dal colore delle immagini che si ottengono.
Fu l’astronomo inglese John Hershel, nel 1842 ad inventarlo, con l’intento di riprodurre in più copie la sua moltitudine di appunti scientifici. La sua scoperta si basava sulla proprietà di alcuni sali ferrici nell’essere ridotti a sali ferrosi per azione della luce.
Nel procedimento cianotipico (o cianografico) la luce catalizza la riduzione del ferro ammonio citrato in un sale ferroso, il quale a sua volta agisce come riduttore sul potassio ferricianuro combinato in soluzione. Il risultato è un precipitato insolubile di colore blu intenso che viene a costituire l’immagine. Hershel usava la cianotipia come una moderna macchina per fotocopie.
La prima applicazione a carattere più prettamente fotografico è accreditata a Anna Atkin, che usò il cianotipo per illustrare le pagine del suo libro: Photographs of British Algae: Cyanotypes Impressions.
L’uso della cianografia ebbe diffusione durante tutta la seconda metà del 1800, proprio per la sua semplicità esecutiva. In comune con le altre tecniche antiche, la stampa avveniva per contatto con un negativo di grande formato.

Angelo Taibi, appassionato ed esperto di tecniche alternative, mi aiuterà attraverso questa conversazione a scoprire nel dettaglio le possibilità espressive offerte dal cianotipo, e le possibili varianti su di esso.

MB: Angelo, come è nata questa tua passione per le tecniche alternative?

AT: me ne sono innamorato durante i due anni in cui ho vissuto a Londra, periodo durante il quale mi trovavo spesso a frequentare musei e negozi specializzati nel collezionismo di foto d’epoca..
Rimanevo puntualmente incantato davanti alla perfezione delle stampe all’albumina di fine ottocento; nel cercare di capire da dove veniva quella “grazia” mi sono imbattuto nel mondo delle tecniche alternative che riportavano agli albori della fotografia. Così grazie ad un revival di queste tecniche (mostre, libri sull’argomento, kit di prova, carte apposite, ecc) ho comprato del materiale e ho cominciato a sperimentare una volta tornato in Italia.
In fotografia, la sperimentazione è l’aspetto che più mi coinvolge. Poi lavorando come ricercatore nel campo della fisica medica ho sempre avuto a che fare le camere oscure ed il trattamento delle pellicole radiografiche; dal punto di vista della ripresa fotografica mi limito ad un approccio fotoamatoriale.

MB: fra i tuoi lavori ho visto molti esempi di stampe ottenute con procedimenti diversi, fra cui molti cianotipi. Vuoi parlarmi nello specifico di questa tecnica e spiegarmi come è possibile ottenere tanta varietà nel risultato?

AT: per il cianotipo uso una tecnica assolutamente “basic”, la vecchia ricetta senza sofisticazioni, perché mi interessa, come d’altronde per tutte le altre tecniche alternative, l’atmosfera creata dallo stile pittorico e dalla tonalità.
Come saprai il cianotipo viene chiamato anche “blueprint” dal classico colore blu profondo che lo caratterizza. Il principio su cui si basa si avvale di una tecnica semplice, immediata e molto economica.
L’esposizione della carta è basata sul contatto con il negativo, per questo è necessario l’uso di un negativo ingrandito alla stessa dimensione della stampa. Usando un apparecchio di grande formato non sussisterebbero problemi, ma per chi usa abitualmente piccoli formati di ripresa, o l’apparecchio digitale, il computer permette di superare facilmente il problema: i negativi ingranditi possono essere ottenuti con una buona stampante.

MB: Parliamo del cianotipo dal punto di vista della procedura chimica. Prepari tu stesso la carta sensibile?

AT: Certamente, con una emulsione autopreparata.
Non è molto complicato, infatti la formula classica del cianotipo impiega solo due componenti, il Ferro Ammonio Citrato (verde) ed il Potassio Ferricianuro (prussiano rosso).
Nella preparazione inizio miscelando i singoli componenti in acqua: porto in soluzione 20gr. di Ferro Ammonio Citrato e 8gr. di Potassio Ferricianuro rispettivamente in 100ml. di acqua. Se le due soluzioni vengono conservate in flaconi separati si conservano per molte settimane; al momento in cui desidero emulsionare la carta miscelo i due composti nella proporzione di 1:1.
Dopo la miscelazione può formarsi un leggero precipitato blu. In tal caso filtro e uso la soluzione limpida.

MB: veramente semplice. E la carta da sensibilizzare?

AT: deve essere di buon peso e consistenza da non danneggiarsi nel bagno di sviluppo: bagno costituito da sola acqua!
In luce attenuata, con il foglio fissato con nastro adesivo su un supporto rigido, spennello la superficie della carta con la soluzione sensibilizzante; la stesura deve essere il più possibile uniforme, evitando troppe passate successive (questo può comportare perdita di sensibilità alla luce). Con un po’ di pratica si può imparare a sensibilizzare altri materiali, come ad esempio i tessuti; più fitta è la trama del tessuto e più profondi saranno le densità ottenute.

MB: si devono osservare precauzioni particolari usando l’emulsione liquida?

AT: la soluzione è tossica, soprattutto una volta essiccata. Sarà sufficiente usare dei guanti e pulire bene le superfici di lavoro e gli utensili dopo l’uso.
Finita l’emulsionatura lascio asciugare il foglio nell’oscurità totale. Se si vuole passare subito alla stampa sarà utile servirsi di un asciugacapelli per accelerare l’essiccatura. La superficie del foglio assume a questo punto una colorazione giallo-verde di aspetto opaco. I fogli possono essere anche conservati per alcuni giorni in contenitori sigillati.

MB: E’ il momento dell’esposizione. Come operi e che tipo di sorgente di luce usi?

AT: In un ambiente poco illuminato, su di un piano rigido trasportabile, pongo il negativo con sopra il foglio sensibilizzato. Un vetro pesante sopra il tutto assicura il contatto perfetto.
Molti preferiscono usare le lampade UV-A per poter ripetere e controllare più accuratamente i risultati. Io preferisco andar fuori sotto la luce del sole ( può sembrare anche una bella provocazione parlare di stampe fotografiche alla luce del sole anziché in camera oscura …). Eppure questa era una regola nell’ottocento.
A questo punto serve un po’ di esperienza nel saper valutare la densità dell’immagine durante il suo progressivo formarsi: le zone maggiormente esposte assumono una colorazione dapprima giallo-verde, che si intensifica fino ad un effetto grigio-blu metallico. L’esposizione alla luce del sole potrà durare dai due ai venti minuti.

MB: Sembra impossibile che adesso non siano necessari sviluppo e fissaggio chimici…..

AT: Per me tutto questo è straordinario della cianotipia! (Ironia della sorte, Herschel, l’astronomo inglese inventore della cianotipia, aveva anche inventato il primo sistema di fissaggio fotografico basato sull’iposolfito di sodio ma col suo metodo fotografico gli bastava l’acqua corrente …)
Per una cianografia basta un semplice lavaggio in acqua. Appena rimossa ogni colorazione gialla dalle alteluci si potrà tranquillamente passare all’essiccazione della stampa. Le tonalità più profonde continueranno ad intensificare ed acquistare colore durante l’asciugatura.

MB: se non sbaglio, per controllare meglio il risultato, è possibile accelerare il cambiamento…

AT: si, attivando l’ossidazione sull’immagine; Basta trattare la stampa in un bagno di acqua ossigenata diluita in acqua immediatamente dopo il lavaggio.

MB: la storia ci racconta che durante la seconda metà dell’ottocento la cianografia ebbe una buona diffusione, ma non al pari di altri procedimenti se pur più complessi; l’aspetto meno apprezzato fu proprio il colore blu intenso delle immagini.

Esempio 1

AT: questo tipo di stampa così sfumata, così “sporca”, così blu….. (vedi esempi fotografici n.ri 1–2-3), è davvero particolare per certi soggetti ma non si abbina bene con tutto. Fortunatamente un altro aspetto affascinante delle stampa ai sali di ferro è la possibilità di variarne il colore tramite alcuni interventi di viraggio. Così io dico: “se il blu stanca……prendetevi una tazza di tè”
E non scherzo, perché il tè con il suo contenuto di acido tannico è un buon viraggio e serve a “macchiare” di giallo-marrone la stampa. Si possono usare anche l’ammoniaca e il carbonato di sodio.
In questo tipo di viraggi non si parla di scienza esatta, per cui in giro trovi le formule più disparate che poi devi sperimentare personalmente; alla fine si aggiunge ancora più fascino per l’unicità del risultato.

Esempio 2Esempio 3

MB: non mi dirai che usando varietà di tè diverse si ottengono toni diversi……?

AT: una varietà ricca di acido tannico è l’ideale per ottenere una tonalità decisa sulla stampa; nella fotografia degli strumenti musicali (vedi esempio fotografico n°4), puoi osservare un cianotipo classico con negativo al laser, virato utilizzando  ammoniaca (sbianca), tè verde che intensifica e vira al marrone in  funzione del tempo e sodio carbonato che interagisce con l’acido  tannico per dare la tonalità rossastra.
Passando direttamente all’intonazione senza l’uso della sbianca , il colore tenderebbe ad essere più freddo per la troppa intensità dei blu originali.

Esempio 4

MB: con la sbianca si possono correggere anche eventuali errori dovuti all’esposizione?

AT: certo. L’effetto della sbianca può correggere un cianotipo troppo denso. I composti sbiancanti più comuni sono l’ammoniaca ed il carbonato di sodio che oltre a schiarire l’immagine provocano degli slittamenti nel colore.
Nel carbonato di sodio l’immagine sembra inizialmente scurire, poi, progressivamente schiarisce fino a che non la si passa in una bacinella d’acqua. E’ necessario farlo con anticipo, visto che l’azione della sbianca continua per un po’ anche durante il lavaggio.
Si può ottenere una tonalità blu/verde chiaro sovresponendo la stampa e successivamente sbiancandola nel carbonato. Purtroppo i cianotipi sottoposti a sbianca tendono a perdere robustezza alla luce, aspetto che ne compromette la stabilità nel tempo.

MB: fra gli esempi di stampa che mi hai mostrato, c’è una fotografia caratterizzata da una bella tonalità nero/calda (vedi esempio fotografico n°5). Come l’hai ottenuta?

Esempio 5

AT: In questo caso ho usato l’acido tannico come componente puro, diluito in acqua. Varie immersioni nella soluzione insieme a qualche altro “intruglio” hanno prodotto questa tonalità più tipicamente fotografica. Come vedi le combinazioni possono essere infinite.

MB: nella formulazione classica il cianotipo tende a restituire l’immagine con un contrasto molto pronunciato. Del resto, nell’800 questa era la tecnica per produrre copie di manoscritti o disegni.
Utilizzando un negativo molto morbido, aggiustato al computer, è possibile trasformare il contrasto della cianografia in qualcosa di più fotografico. Tu però mi hai parlato anche di un’altra tecnica che permette una diminuzione del contrasto per via chimica.

AT: si, è un procedimento interessante perchè permette di abbassare la gradazione di contrasto della carta. Ho trovato la descrizione di questa “ricetta”, definita “The Ferro-Prussiate process”, su un vecchio libro inglese degli inizi del secolo scorso (Paul N. Hasluck “The Book of Photography”, 1905).
In pratica si preparano le due soluzioni che già conosciamo, senza unirle. Con la prima, cioè il Ferro Ammonio Citrato, si sensibilizza il foglio. Dopo l’esposizione alla luce, le parti meno annerite dovrebbero mostrare un aspetto bronzeo e appena compare un’immagine di colore marrone si spennella con il ferricianuro per sviluppare. Poi si completa con il solito lavaggio in acqua.

MB: dai tuoi esempi vedo che le stampe ottenute in questo modo mostrano anch’esse una colorazione blu, ma il loro aspetto è comunque diverso.

AT: sì, la stampa risponderà con una scala tonale più estesa e minor contrasto se confrontata con la tecnica classica (vedi esempi fotografici n.ri 6 e 7). Inoltre la tonalità blu è meno accentuata e la stampa può apparire più gradevole.

Esempio 6Esempio 7

MB: tornando al negativo ingrandito, mi puoi descrivere in linea di massima che procedura usi?

AT: I miei fotogrammi di partenza sono per lo più negativi in bianco e nero in formato 24×36, dei quali faccio una scansione ad alta risoluzione. Con un programma di fotoritocco mi aggiusto con cura la dinamica ed il contrasto per il tipo di cianotipo che intendo stampare. Dopo aver dimensionato l’immagine in accordo con il formato finale, stampo il tutto su acetato, usando una stampante a laser o a getto d’inchiostro. Attendo che l’inchiostro sia asciutto ed il gioco è fatto.

MB: tu hai sperimentato anche la stampa al bromolio che è l’unica fra le tecniche antiche che non richiede il negativo ingrandito. E’comunque un procedimento piuttosto complesso vero?

AT: Si, malgrado questo vantaggio, presenta altre difficoltà. Con il bromolio si agisce direttamente sulla stampa fotografica opportunamente sbiancata, ma essendo una tecnica “a rigonfiamento d’immagine” è necessaria una certa abilità manuale nell’inchiostratura  che si può raggiungere, a mio parere, soltanto dopo avere appreso il mestiere direttamente da un esperto. Io ho letto libri e comprato anche un video ma, a meno di avere grande pazienza e tempo e disposizione, bisogna ammettere che il numero di parametri da tenere in considerazione è così elevato (tipo di inchiostro e pennello, deposizione dell’inchiostro col pennello, quantità di inchiostro, rigonfiamento della carta, ecc.) da scoraggiare il neofita.
Per quanto riguarda le altre antiche tecniche, ho sperimentato con discreto successo la gomma bicromata e ho fatto qualche tentativo con la carta salata e la sua variante all’albumina (ho trovato anche un bellissimo libro di una ventina d’anni fa che ripercorre tutti gli aspetti storici e tecnici di queste due tecniche così diffuse alla fine dell’ottocento). Ho anche sperimentato con il pirogallolo come sviluppo dei negativi, un antico processo nuovamente molto in voga tra i “maniaci” del negativo perfetto.

MB: può apparire veramente anacronistico discutere di procedimenti antichi in piena era digitale, ma credo che sia proprio questo connubio fra tecnica antica e tecnologia moderna ad aver indirizzato sempre più fotografi verso questa ricerca.

AT: mi piace pensare che il digitale, se da un lato sta decretando la fine della fotografia convenzionale, dall’altro conduca alla riscoperta delle prime tecniche fotografiche riaprendo così orizzonti creativi ormai dimenticati.
Sicuramente la possibilità di diminuire il tempo in camera oscura ha permesso a molti artisti di avvicinarsi a queste tecniche prima accessibili soltanto agli “addetti ai lavori”. Vedo che diversi esperti fotografi non passano più per la camera oscura per ottenere negativi di grande formato, anche per la difficoltà nel reperire i materiali.
Ripetendo le parole di un fotografo americano, “there ain’t no rules” ovvero con le tecniche alternative decidi sia il tipo di supporto che la soluzione sensibile in modo da dare sfogo a tutta la tua creatività senza nessuna regola! Per me poi che sono più un curioso che uno specialista, sperimentare con le tecniche alternative significa capire il nesso tra il processo fotografico da utilizzare e l’atmosfera che ho interesse a creare con quel particolare fotogramma.

MB: Grazie della tua disponibilità Angelo, e per rimanere in tema……ci prendiamo una tazza di tè?

Testo: © Barsanti e Angelo Taibi
Immagini: © Angelo Taibi

Angelo Taibi, siciliano ma residente a Ferrara da diversi anni, è laureato in Fisica ed insegna all’università. Appassionato di fotografia in bianco e nero, durante un periodo di studi a Londra alla fine degli anni ’90 ha avuto modo di scoprire l’affascinante mondo delle tecniche fotografiche alternative grazie alla frequentazione di musei e negozi specializzati. Tornato in Italia ha cominciato a sperimentare varie tecniche sia per la produzione del negativo che della stampa fotografica. 

info@angelotaibi.it

Articolo pubblicato sul numero 41, della primavera-estate 2006 di Gente di Fotografia. Rubrica “Laboratorio”

Ringrazio Angelo Taibi per avermi permesso di pubblicare nuovamente questo articolo sul mio blog.

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