Marco barsanti Photography blog
Pensando alle varie fasi del processo di stampa in bianco e nero, credo che l’operazione ultima, vale a dire il lavaggio, sia la sola alla quale penso con un vero senso di noia.
Usando prevalentemente carte del tipo baritato, per molto tempo mi sono attenuto alla regola classica che indica: dopo il fissaggio lavare le stampe almeno un’ora in acqua fresca corrente….
Determinato a trovare un’alternativa, ho cercato di scoprire quali fossero gli accorgimenti più idonei a diminuire l’attesa, ridurre il consumo d’acqua (che è un bene prezioso), e che potessero migliorare l’efficienza del lavaggio.
Nel presente articolo cercherò di approfondire nello specifico quest’aspetto.
E’ necessario lavare a fondo pellicole e carte in bianco e nero. Il principale compito dell’acqua di lavaggio è quello di asportare il tiosolfato (iposolfito) ed i sali complessi di argento-tiosolfato assorbiti dalla fibra. Dal loro livello residuo dipende in larga misura la longevità della stampa.
Un lavaggio conservativo eseguito a regola d’arte, non solo dipende dalla tecnica con il quale si attua, ma è il risultato di tutti gli accorgimenti di trattamento discussi nei precedenti articoli: controllo della capacità del fissaggio, impiego di un aiuto lavaggio chimico, scelta degli appropriati viraggi protettivi ecc.
I grandi nomi che della fotografia hanno fatto un’arte (A. Stieglitz, P. Strand, J. Margaret- Cameron ecc.) conoscevano ben poco delle tecniche di lavaggio, ma nonostante questo molte delle loro opere sono giunte fino a noi in buone condizioni.
A differenza di un tempo, infatti, adesso dobbiamo fare i conti con un livello d’inquinamento parecchio superiore; molte sostanze disperse nell’aria e nell’acqua sono oggi potenzialmente dannose per l’immagine argentica.
I parametri di tolleranza:
Un modo semplice per interpretare quanto tiosolfato residuo possa compromettere la durata di una fotografia, è di pensarlo come quantità espressa in grammi per metro quadrato di carta. Per gli addetti ai lavori quest’unità di misura si trasforma in microgrammi per centimetro quadrato (Vedi Gente di Fotografia n°32, “La permanenza delle stampe fotografiche in b/n”). Ilford ad esempio ha un suo standard di tolleranza fissato a 0,7microg per cm2 di carta.
Nella normale pratica di camera oscura posso suggerire un semplice metodo test, che nonostante la sua approssimazione, può indicare che nelle nostre stampe sono rimasti livelli di fissaggio sopra la tolleranza.
Si prepara la seguente soluzione costituita da:
Acqua distillata 700 cc.
Acido Acetico (Sol. al 28%) 120 grammi
Nitrato d’argento 7,5 grammi
Acqua distillata fino a 1 litro
Si applica una piccola quantità di questa soluzione, per esempio con un contagocce, su una zona bianca di una stampa di prova già lavata. Trascorsi due minuti si può asportare la soluzione: in quel punto può essere osservata una macchia, più o meno scura. Più la macchia è debole e più il lavaggio è stato efficace. Nel caso la macchia sia pressoché invisibile, possiamo essere certi che il lavaggio ha eliminato praticamente ogni traccia di tiosolfato residuo.
Un ipotetico sistema di lavaggio:
Mentre nelle pellicole e nelle carte RC il fissaggio può essere assorbito solo dal sottilissimo strato d’emulsione, la porosità della fibra delle carte tradizionali raccoglie quantità ben maggiori dei chimici di trattamento.
Può sembrare inverosimile, ma un metodo ipotetico ci indicherebbe come possibile il lavaggio di una stampa 20×25 in soli 300ml d’acqua.
Assumendo, infatti, che lo spessore di una carta baritata a doppio peso (double-weight) è di circa 0,03 cm, una stampa di queste dimensioni avrà un volume totale di circa 15cm³. Tolta dal fissaggio, questa fotografia tratterrà approssimativamente, sia nel suo interno poroso sia in aderenza alla superficie, una pari quantità di componente chimico: circa 15ml di fissaggio.
Con una dose di 15ml d’acqua di lavaggio ci potremo aspettare che metà del tiosolfato contenuto nella fotografia entri in soluzione nell’acqua, bilanciandosi. Avremo in questo modo già ridotto della metà il livello iniziale di fissaggio nella stampa.
Scartando l’acqua, e ripetendo questo ciclo per dieci volte, il livello d’iposolfito residuo finirebbe per ridursi ad un millesimo; ripetendolo venti volte raggiungeremo un milionesimo: il ricambio frequente di piccole quantità d’acqua ci avrebbe permesso un lavaggio completo in soli 300 ml d’acqua!
Purtroppo questo “modello ipotetico” ignora molti fattori che nell’applicazione concreta vengono ad influenzarne l’efficacia: ad esempio la qualità dell’agitazione e della circolazione dell’acqua sulla superficie della stampa, la sua struttura cartacea, la temperatura ecc.
Da prove sperimentali è possibile osservare che il fissaggio diminuisce rapidamente solo durante la prima fase dei cicli di lavaggio. Dopo circa mezz’ora il processo di diffusione continua, ma a bassi livelli di concentrazione l’iposolfito impiega molto più tempo per abbandonare la fibra.
Solo l’introduzione di altri accorgimenti ci consentirà di anticipare l’essiccazione dei nostri lavori.
Meno fissaggio nella fibra:
Nella carta fotografica l’assorbimento del fissaggio inizia lentamente dalla superficie verso l’interno, penetrandovi fino a saturazione completa. Attraverso l’uso di un fissaggio al tiosolfato di ammonio è possibile portare in soluzione gli alogenuri di argento non esposti, impedendo all’iposolfito di penetrare in profondità. Su questo semplice principio si basa la procedura di trattamento abbreviato Ilford (per i dettagli vedi Gente di Fotografia n°33)
Dalle prime prove sperimentali condotte dalla casa inglese una ventina di anni fa, risultava che, dopo 30 secondi di fissaggio (a 20°C), il livello massimo d’iposolfito assorbito era di soli 0,14 g./cm², una quantità facile da eliminare attraverso il lavaggio.
Essendo 30 secondi insufficienti per coprire la superficie di stampe di formato superiore, Ilford ha successivamente preferito protrarre questo tempo di trattamento fino a 60 secondi, aumentando di soli 0,02 g./cm² il livello d’iposolfito assorbito.
A questo punto, possiamo anche chiederci, se questa procedura sia valida per ogni tipo di carta, anche differente dai materiali FB Ilford.
La risposta è che, per la maggior parte delle carte double weight baritate, il procedimento è in linea di massima sicuro. In pratica la dissoluzione completa degli alogenuri d’argento non esposti avviene prima dei 30 secondi minimi consigliati (Utilizzando Ilford Rapid Fixer o Hypam senza induritore alle concentrazioni indicate).
Per verificare, e restare tranquilli, consiglio questo semplice test da eseguire con la varietà di carta che usiamo abitualmente: in camera oscura ed in luce di sicurezza si taglia una striscia di carta sensibile di circa 5 x 24cm del tipo che vogliamo testare. La si immerge completamente in un bagno d’arresto per circa un minuto. Si immergano poi i primi cinque centimetri circa di un capo (nel senso della lunghezza) nel bagno di fissaggio e si lasciano trascorrere cinque secondi, successivamente altri cinque centimetri per ulteriori cinque secondi, e cosi via fino a toccare il fissaggio con le dita. Avremo ottenuto cinque porzioni fissate rispettivamente per 5, 10, 15, 20, 25 secondi. Immediatamente si trasferisce la striscia in un bagno di sviluppo e si accende la luce. Trascorso il normale tempo di sviluppo si sciacqua lo spezzone in acqua e lo si controlla: i secondi corrispondenti al primo segmento completamente bianco saranno quelli necessari per un fissaggio completo. Questo tempo dovrebbe essere poi raddoppiato per sicurezza.
L’aiuto lavaggio:
E’ inutile ribadire l’importanza di un aiuto lavaggio chimico (washing aid) nella procedura conservativa. Si tratta di un bagno dalla composizione chimica semplice, non inquinante, che permette in pochi minuti di preparare la stampa al lavaggio, con notevole risparmio di tempo e d’acqua. Il suo impiego è previsto, infatti, fra l’operazione di fissaggio e quella del lavaggio.
I prodotti commercialmente più diffusi nel nostro paese sono Kodak Hypo Clearing Agent (prodotto in polvere da dissolversi in acqua distillata) e Ilford Galerie Washaid (liquido concentrato). Sono entrambi molto simili nella composizione. Washaid Ilford contiene alcuni agenti che ne aggiustano l’equilibrio chimico anche con acque particolarmente dure.
Alle concentrazioni di lavoro la loro durata utile è piuttosto limitata: circa 24 ore per il prodotto Kodak, circa una settimana per quello Ilford.
La temperatura ottimale:
La temperatura ottimale è quella che si avvicina il più possibile a quella tipica di trattamento, cioè 20°C. Temperature assai più alte, sebbene non ostacolino il lavaggio, tendono pericolosamente a rammollire la gelatina e a renderla più vulnerabile ai danneggiamenti meccanici. Le temperature più basse sono quelle più problematiche in quanto tendono a rendere più compatta l’emulsione, impedendo il rilascio dell’iposolfito. Alcuni fabbricanti consigliano addirittura di raddoppiare il normale tempo di lavaggio quando la temperatura è prossima ai 10°C.
Ancora una volta è consigliabile l’uso di un aiuto lavaggio chimico che per sua natura contribuisce a contenere il problema.
Un sistema di lavaggio efficiente:
Nella pratica, lavare efficacemente una stampa fotografica è più semplice di quanto si pensi.
Nel caso la nostra produzione si limiti a poche stampe per seduta, sono sufficienti due bacinelle di una misura superiore a quella delle fotografie da lavare.
Per trasformare da teorico a pratico il principio dei “300ml per una stampa 20X25”, si opera con questo sistema:
Si immergono le stampe nella prima bacinella d’acqua (non più di due o tre fotografie per ciclo di lavaggio), agitando e cambiando di posizione le stampe ogni tanto per circa cinque minuti. Alla fine di questo ciclo si trasferiscono le stampe dalla prima alla seconda bacinella già contenente l’acqua di lavaggio (la quantità d’acqua necessaria è quella sufficiente a coprire le fotografie). Si scarta l’acqua della prima bacinella e si sostituisce con una pari quantità fresca; si applica un altro ciclo di lavaggio di cinque minuti nella seconda bacinella, poi, si trasferiscono le stampe nella prima e così via fino al termine del tempo complessivo di lavaggio. Naturalmente bisogna prestare attenzione alla fragilità delle carte baritate durante i vari spostamenti da una bacinella all’altra.
La durata totale del lavaggio dipende dal tipo di procedura adottata e se si è usato o meno un “washing aid”.
Questa è quanto possiamo considerare come la migliore tecnica attuabile, sicuramente più efficiente di quanto si possa ottenere con la maggior parte delle più comode (e costose) lavatrici a scomparti verticali.
Naturalmente se il volume di lavoro cresce, e le stampe da lavare sono parecchie, ecco che una lavatrice verticale diviene un accessorio insostituibile.
Le lavatrici per carte:
Le migliori lavatrici per carte sono quelle a scomparti verticali. Sono costituite da una grossa vasca principale suddivisa in più camere molto sottili. La loro costruzione permette di lavare parecchie stampe contemporaneamente, mantenendo i fogli separati e sottoposti a circolazione d’acqua continua.
Nella seconda parte di quest’articolo parleremo ancora delle lavatrici verticali, della loro efficacia, e degli ultimi accorgimenti per raggiungere la stabilità ottimale delle stampe fotografiche in bianco e nero.
Testo e immagini © Marco Barsanti
Articolo pubblicato sul numero 36, dell’inverno 2003-2004 di Gente di Fotografia. Rubrica “Laboratorio”
Molto ma molto interessante! Grazie per la condivisione.
Mi appresto ad inerpicarmi (è il caso di dirlo) sul tortuoso ma appagante sentiero della stampa, e “assorbo” come una spugna le preziose informazioni come questa…
Grazie Nicola, quella della stampa in bianco e nero per via chimica è un’esperienza insostituibile! Buona sperimentazione.